D I S C O G R A F I A
D I S C O G R A P H Y
Alessandro Giachero Ensemble
Passio - Abeat Records 2015
Alessandro Giachero - piano, prepared piano
Antonio Santoro - flutes
Eugjien Gargiola - violin
Maria Vicentini - viola
Silvia Dal Paos - cello
Stefano Risso - double bass
Marco Zanoli - drums, percussions
Tracklist:
01 - Resonance
02 - Passio
03 - Dag
04 - Rest (I)
05 - Oblique
06 - Lost
07 - Moto perpetuo
08 - Jumpin'
09 - Color shading
10 - Male and female
11 - Rest (II)
12 - Rebe
All compositions by Alessandro Giachero
PRESS HIGHLIGHTS
Il potere evocativo della
musica rende possibile la traduzione del suono in qualcosa di visibile
grazie all’immaginazione. Non è raro, ascoltando certa musica,
immaginare, riconoscere, associare, vedere. Questo accade quando la
musica reca impliciti contenuti complessi, ossia così ricchi da
prestarsi a visioni soggettive, personali. È il portato peculiare della
bellezza questa complessità strutturale data dall’essere la somma di più
elementi che però ognuno riceve in maniera semplice, in una sorta di
nudità scarna, come materia grezza su cui l’individuo incide se stesso.
“Passio”,
recente lavoro in studio di Alessandro Giachero, possiede questa rara
proprietà, si profila già a un primo ascolto come potente strumento
evocativo in cui sono contenuti elementi ancestrali, radicati nella
nostra interiorità. Alessandro Giachero ci ha abituato con i suoi
precedenti lavori ad abbandonare la superficie e a dedicare la nostra
attenzione alla parte più profonda della musica, quella che riesce a
spingersi oltre il suono.
Giachero in
“Passio” crea un processo musicale dinamico e originale che tende alla
completezza, all’inclusione di tutte le variabili implicite nel far
musica. Scrive questi undici brani e lo fa per un ensemble che include
Antonio Santoro (flauti), Eugjen Gargjola (violino), Maria Vicentini
(viola), Silvia Dal Paos (violoncello), Stefano Risso (contrabbasso),
Marco Zanoli (batteria). L’esperienza di improvvisazione totale apre le
porte al recupero e all’integrazione della performance improvvisativa
nel tessuto compositivo. Giachero in “Passio” parte dalla scrittura e
attraversa l’improvvisazione senza soluzione di continuità alienandosi
da concezioni estetiche predeterminate, da definizioni consumate. Crea
delle tracce scritte che servono da guida, svolgono funzione di
aggregazione e omogeneizzazione rispetto alle parti centrali dei brani
nelle quali prende di nuovo slancio l’estemporaneità dell’invenzione
musicale. Come scrive lo stesso artista nelle note di copertina del cd:
“La ricerca di oltrepassare i linguaggi è determinante nella
realizzazione di “Passio”, anche al fine di concentrare l’attenzione
sullo sviluppo della musica in relazione all’evoluzione di se stessa,
della propria personalità e della propria umanità.”
Le
undici tracce di “Passio” suonano come una grande metafora di questa
evoluzione e non solo della musica, ma dell’umanità. “Resonance”,
traccia di apertura, è un nucleo di suono che rimanda a una sorta di
caos primordiale, a un buio da cui attendere lo schiudersi della luce,
un magma di energia che contiene la terra, il cielo, l’acqua, lo spirito
delle cose, in una parola la vita stessa. Dal magma prende forma la
cellula vitale. Possiamo sentire, procedendo nella tracklist di
“Passio”, il progredire del ritmo e la nascita della melodia che ad
esempio nelle due “Rest” raggiunge la levigata luminosità del sublime,
un grande Largo, Maestoso. Un’allusione al movimento centrale di
“Symbiosis” di Bill Evans, a cui “Rest” si avvicina per solennità e
lirismo.
Il clima di “Passio” è
multicolore, sfaccettato. Il potere del canto trova sostanza nelle
differenti voci degli strumenti, nitide, uniche, sia quando assecondano
un naturale disegno melodico sia quando affidano il canto alla
dissonanza. C’è come una danza costante sottesa alla trama sonora, una
danza primordiale, come in “Dag”, o lieve, leggera, colma di letizia
come un “Moto perpetuo”, o ancora ampia e solenne come in “Lost”, un
moto che si conclude nella splendida invenzione melodica di “Rebe”,
quasi una catarsi.
<Paola Parri - Pianosolo>
Alessandro
Giachero, titolare di un trio jazzistico collaudato, incide questo
disco aggiungendo al suo gruppo tre archi e un flauto, lanciandosi, in
tal modo, in un'impresa piuttosto insidiosa. Non è facile, infatti,
tirare fuori qualcosa di buono da una formazione così eterogenea. Il
rischio, cioè, di finire nelle secche di una "third stream" superficiale
e insipida, in questi casi, è dietro l'angolo. Il musicista
alessandrino affronta il progetto con il giusto piglio, puntando molto
sulla scrittura e sulle doti interpretative del settetto a sua
disposizione.
La musica che si ascolta nel cd è ondivaga e frastagliata. Si colgono echi romantici e tardoromantici, in alcune tracce, accanto alla riscoperta di suoni arcaici e primordiali. Si individuano sequenze contrassegnate dalla frequente ripetizione di frasi con rimandi al minimalismo e puntuali proiezioni nel terreno prediletto del jazz in senso stretto (o largo). Giachero gioca su diversi fronti scivolosi riuscendo, però, a ricavare un timbro omologo da capo al fine del cd dai suoi partners e a dominare la situazione con un lavoro attento di guida e di rinforzo.
Il pianista espone i temi o l'idea degli stessi, oppure si inserisce determinando il clima dei brani, funzionando da termoregolatore, in un certo senso. Due pedine sono, poi, decisive per il buon esito dell'album: la libertà controllata concessa alla batteria e gli interventi contaminati o contaminanti del flauto. A Marco Zanoli è permesso di esprimersi con un solo continuo, in cui si percepisce la precisa intenzione coloristica delle percussioni. Più che tenere il tempo, il batterista suggerisce il carattere, la natura di sfondi ritmici movimentati. Antonio Santoro, flautista di confine fra opposti generi, sviluppa un incontro e uno scontro con il resto della band, facendo risaltare una voce contemporanea e piena di uno swing, a volte implicito, perfetta per questo tipo di operazioni. Il trio d'archi, da parte sua, non si limita a offrire un apporto classico o classicheggiante nelle varie tracce fornendo, inoltre, un forte contributo ritmico e rumoristico in alcuni frangenti.
Come scrive, poi, il pianista piemontese nelle note di copertina nel disco «attraverso la manipolazione del materiale compositivo si sviluppa l'improvvisazione, senza alcun tipo di forzatura stilistica». Il percorso dell'ensemble appare tanto pilotato a monte, invece, che si fatica ad individuare le parti inventate dai solisti. Questo non può che essere considerato un pregio, perché significa che l'ascoltatore avverte, in pratica, una sostanziale continuità fra i due elementi in gioco, tra quello che si legge nella partitura e quello che viene aggiunto dalla creatività dei singoli.
L'album supera i settanta minuti, ma ha rari momenti di stanca, questi dovuti all'iterazione troppo insistita di alcuni passaggi. Per il resto si può affermare che Giachero stia proseguendo nel suo cammino inquieto di ricerca di sempre nuovi ostacoli da superare con passo sicuro e convinto. Non è uno a cui piace fermarsi su una formula, anche se la stessa lo ha gratificato. Il bandleader va, invece, a caccia di un qualcosa che possa far salire ogni volta la sua musica su un livello più elevato e concretizzare insieme appieno le sue urgenze artistiche.
La musica che si ascolta nel cd è ondivaga e frastagliata. Si colgono echi romantici e tardoromantici, in alcune tracce, accanto alla riscoperta di suoni arcaici e primordiali. Si individuano sequenze contrassegnate dalla frequente ripetizione di frasi con rimandi al minimalismo e puntuali proiezioni nel terreno prediletto del jazz in senso stretto (o largo). Giachero gioca su diversi fronti scivolosi riuscendo, però, a ricavare un timbro omologo da capo al fine del cd dai suoi partners e a dominare la situazione con un lavoro attento di guida e di rinforzo.
Il pianista espone i temi o l'idea degli stessi, oppure si inserisce determinando il clima dei brani, funzionando da termoregolatore, in un certo senso. Due pedine sono, poi, decisive per il buon esito dell'album: la libertà controllata concessa alla batteria e gli interventi contaminati o contaminanti del flauto. A Marco Zanoli è permesso di esprimersi con un solo continuo, in cui si percepisce la precisa intenzione coloristica delle percussioni. Più che tenere il tempo, il batterista suggerisce il carattere, la natura di sfondi ritmici movimentati. Antonio Santoro, flautista di confine fra opposti generi, sviluppa un incontro e uno scontro con il resto della band, facendo risaltare una voce contemporanea e piena di uno swing, a volte implicito, perfetta per questo tipo di operazioni. Il trio d'archi, da parte sua, non si limita a offrire un apporto classico o classicheggiante nelle varie tracce fornendo, inoltre, un forte contributo ritmico e rumoristico in alcuni frangenti.
Come scrive, poi, il pianista piemontese nelle note di copertina nel disco «attraverso la manipolazione del materiale compositivo si sviluppa l'improvvisazione, senza alcun tipo di forzatura stilistica». Il percorso dell'ensemble appare tanto pilotato a monte, invece, che si fatica ad individuare le parti inventate dai solisti. Questo non può che essere considerato un pregio, perché significa che l'ascoltatore avverte, in pratica, una sostanziale continuità fra i due elementi in gioco, tra quello che si legge nella partitura e quello che viene aggiunto dalla creatività dei singoli.
L'album supera i settanta minuti, ma ha rari momenti di stanca, questi dovuti all'iterazione troppo insistita di alcuni passaggi. Per il resto si può affermare che Giachero stia proseguendo nel suo cammino inquieto di ricerca di sempre nuovi ostacoli da superare con passo sicuro e convinto. Non è uno a cui piace fermarsi su una formula, anche se la stessa lo ha gratificato. Il bandleader va, invece, a caccia di un qualcosa che possa far salire ogni volta la sua musica su un livello più elevato e concretizzare insieme appieno le sue urgenze artistiche.
<Gianni Montano per Jazzconvention>
Quarantaquattro
anni, alessandrino, Giachero allarga di fatto il già più volte
apprezzato trio T.R.E. con Risso e Zanoli a un quartetto da camera
(però, rispetto alla configurazione canonica, con un poliflautista al
posto di uno dei due violini) nell'intento—ambizioso—di creare un'opera
mista (ipotesi non nuova, del resto), classica e jazz insieme.
L'elemento cameristico, alla fin fine, si rivela prevalente, secondo le
modalità e le esemplificazione che andiamo a illustrare.
Intanto
l'aspetto compositivo (dodici i brani, tutti di Giachero) è decisamente
preponderante su ogni altro elemento in gioco. Poi il ruolo—la presenza
-degli archi (ma anche dei flauti abilmente maneggiati da Santoro) è,
quantitativamente e idiomaticamente, costante. Il tessuto abbraccia ora
umori più squisitamente contemporanei, ora (più di rado, in verità)
prossimi a una letteratura anche trascorsa. C'è una solennità, un
aplomb, a loro volta tipici di un dato ambito, così come una costante
preziosità ed eleganza sia sul piano timbrico che dinamico (nonché, qua e
là, un minimo di olimpica staticità).
E
il risultato finale, in particolare in episodi quali "Resonance,"
"Dag," "Lost" e "Moto perpetuo," dà sostanzialmente ragione al pianista
alessandrino.
<Alberto Bazzurro - All About jazz>
LISTEN
Alessandro Giachero Ensemble - Passio
1. Resonance
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2. Passio
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3. Dag
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4. Rest (I)
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5. Oblique
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6. Lost
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7. Moto perpetuo
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8. Jumpin'
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9. Color shading
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10. Male and female
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11. Rest (II)
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12. Rebe
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